Fuoco greco, incendi contemporanei - «Incendi» di Wajdi Mouawad
Teatro ì, Milano
dal 2 al 14 maggio 2012
traduzione Caterina Gozzi - regia Renzo Martinelli
con Federica Fracassi, Walter Leonardi, Francesco Meola, Valentina Picello, Libero Stelluti
adattamento Francesca Garolla - scene Renzo Martinelli
produzione Teatro ì - in collaborazione con Face à face-Parole di Francia per scene d'Italia, Institut Français Milano e Delegazione del Québec a Roma
1. MARTINA TREU
“Un Edipo al femminile”: così viene presentato nell’edizione italiana (Incendi, Titivillus, Pisa, 2009) il dramma Incendies (2002) di Wajdi Mouawad, drammaturgo, sceneggiatore, attore e regista nato in Libano, di lingua francese e di nazionalità canadese (www.wajdimouawad.fr). Il richiamo a Edipo è certamente calzante, come vedremo, ma non esaurisce certo il gioco di complesse relazioni che legano la tragedia greca a questo incisivo testo, seconda parte di una “tetralogia della memoria” ancora incompleta (per un’approfondita analisi dei drammi di Mouawad, e in particolare di Incendi, si veda Andrea Rodighiero, La promessa del sangue. Motivi edipici in Incendies di Wajdi Mouawad, nel volume in corso di stampa Edipo classico e contemporaneo, a cura di F. Citti e A. Iannucci, Olms, Hildesheim- Zurich-New York, 2012, pp. 357-381). Incendi non è la riscrittura di una tragedia antica, né un mix di tragedie, né una combinazione di personaggi e spunti diversi legati a un unico filo conduttore. In apparenza è una storia di guerra, e di violenza: ancora tristemente attuale, a un decennio dalla sua stesura, come dimostrano sia l’allestimento visto a Milano sia la recente versione cinematografica di Denis Villeneuve (Incendies, Canada 2010: in Italia il film è uscito nel gennaio 2011 col titolo La donna che canta).
In un Paese arabo sconvolto dalla guerra civile – il Libano di ieri, la Siria di oggi? – una donna impara a leggere e scrivere, lascia il villaggio e affronta atrocità di ogni sorta per ritrovare il proprio figlio, che le è stato strappato via appena nato; molti anni dopo, prima di morire, la stessa donna affida ai figli gemelli – maschio e femmina – la ricerca del padre, che loro due credevano morto, e di un fratello che non sapevano di avere. La vicenda si sviluppa a ritroso fino a ricostruire questi rapporti familiari distorti, dipanandosi su diversi piani temporali e spaziali.
Ai nostri occhi è una vera tragedia contemporanea in quanto è capace di far risuonare corde ancestrali e di ricordare per molti aspetti diversi drammi antichi, per il modo di toccare alcuni nervi scoperti, personali e collettivi: l’indagine sul passato, la ricerca della propria identità e la scoperta dell’incesto riconducono a Edipo; ma viene da pensare anche all’Orestea per l’ambivalente figura del padre agli occhi dei due fratelli, l’amore-odio verso la madre, la presenza accanto ai protagonisti di vari ‘compagni di viaggio’ paragonabili a Pilade. Alla Fedra di Euripide ci fa pensare il peso della parola scritta, in rapporto con quella orale: l’accusa di Fedra – quella di essere stata violata da quel figliastro che in realtà lei ama – è efficace e terribile proprio perché è lasciata in absentia, incontrovertibile voce di una morta. Allo stesso modo agisce in Incendi il testamento della madre: la richiesta post mortem non può essere discussa né modificata. Due lettere scritte sono poi gli ultimi e sconvolgenti messaggi materni: di fronte al padre e al fratello, i due gemelli non potranno che essere messaggeri silenti e attoniti di una verità che li divora.
Altre caratteristiche affini al dramma greco sono i simboli, le immagini, le metafore che arricchiscono il dialogo e anticipano gli eventi, ma anche il modo di costruire l’intreccio con una successione di scene eterogenee per tono e contenuto. Ma più ancora che per i personaggi o i dettagli quel che ci riporta alla tragedia greca è la tonalità di fondo: la guerra e il dolore delle donne, la coralità intensa e straziante che troviamo ad esempio nelle Troiane di Euripide. È una coralità tutta al femminile anche quella di Incendi, dove a portare avanti l’azione è una discendenza di donne, uniche portatrici di responsabilità e di coraggio.
2. MADDALENA GIOVANNELLI
Come i tragici greci, l’autore sa dosare sapientemente il pathos producendo un’alternanza di picchi e strapiombi che dettano il ritmo emotivo dell’opera e tengono avvinto lo spettatore, commuovendolo con un finale profondamente tragico, che vuole essere terribile e forse anche liberatorio (sulla curva dell’emozione e la cosiddetta ‘catarsi’ si vedano le tesi di Diego Lanza, La disciplina dell’emozione, Un’introduzione alla tragedia greca, Milano, Il Saggiatore, 1997). Le musiche selezionate da Renzo Martinelli e le scelte di regia vanno nella stessa direzione: le urla di dolore si spengono sulle note di Imagine di John Lennon, gli abiti neri contrastano con i nasi rossi. In una convincente intuizione scenografica Martinelli condensa poi l’essenza stessa della tragedia greca: tò mathei pathos – ci insegnano i greci – l’apprendimento è possibile solo attraverso il dolore. Sul palco ci sono cinque banchi di scuola: ma i personaggi fanno passi avanti solo quando, in piedi, sperimentano l’azione.
Proprio il dialogo con l’antico fa emergere, per cortocircuito, il carattere profondamente contemporaneo della drammaturgia di Mouawad. La vicenda di Edipo è la ricerca di un uomo: è una ricerca della verità, del sé, dell’identità. Edipo è l’investigatore e l’investigato, sceglie di cercare e allo stesso tempo pone ostacoli inconsapevoli, ma mai si sottrae all’indagine. In Incendi le cose stanno ben diversamente: chi scatena la ricerca, cioè la madre attraverso il testamento, conosce già la verità. I due fratelli – ai quali l’affrontare la propria identità arriva come un compito, sgradito e non scelto – sono invece ben più reticenti. Il ragazzo rifiuta con decisione e violenza il suo ruolo: le sue parole, all’inizio della pièce, atterriscono lo spettatore con una pioggia di insulti e bestemmie. La ragazza invece affronta la sfida, ma con paura e cautela: a soccorrerla è lo studio della matematica, sapere rassicurante e infallibile che le si rivolterà contro proprio sul finale con una disarmante epifania (proprio come Edipo è reso cieco dalla sua sapienza logica e terrena, che lo aiuta a risolvere tutti gli enigmi tranne quello che lo riguarda). Il figlio/padre, intorno a cui ruota l’intera azione, non cerca per nulla: la verità gli piomba addosso alle spalle, non voluta. Dei quattro personaggi coinvolti, nessuno è artefice completo della propria ricerca: la scoperta dell’identità, per l’uomo contemporaneo, è cosa ben più sfaccettata e contraddittoria.
In questo percorso ci pare uno strumento essenziale la lingua, anch’essa dall’andamento altalenante, capace di toccare i vertici del lirismo e le bassezze del grottesco e triviale (se ne ha un magnifico esempio già nella prima scena che accosta il buffo intercalare del notaio, la solennità del testamento materno, lo sfogo del figlio verso la madre morta). E, anche in questo, Incendi sembra toccare l’anima della tragedia: l’essenzialità come unico antidoto alla retorica del dolore.
Informazioni
Teatro ì
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