La mors immatura dei fiori e degli angeli. Temi e motivi classici al cimitero veneziano di San Michele

Scritto da Alice Franceschini.

Il presente contributo propone un’analisi di alcuni epitaffi di età contemporanea composti per bambini defunti reperibili nel cimitero veneziano di San Michele e un confronto con i temi e i motivi degli epigrammi sepolcrali classici, prevalentemente greci. Vengono presi in considerazione soprattutto le componenti riguardanti l’espressione del dolore e i temi consolatori. L’indagine mostra una forte continuità dei testi contemporanei con la tradizione classica e del primo cristianesimo, a conferma dell’universalità dei sentimenti e delle modalità espressive legati alla mors immatura.

 

This paper deals with a selection of epitaphs composed in the contemporary age for children buried in the San Michele cemetery of Venice. The texts are compared with funerary epigrams from the Greek world and their traditional themes, especially the expression of sorrow for the mors immatura and consolatory hopes. This study shows a strong continuity of modern texts with the traditional funerary themes of classical world and early Christianity; therefore the universality of emotions and literary solutions inspired by the fatal death of children is confirmed.

 

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La parte oscura di noi. Nota critica a: M. Bettini – G. Pucci, Il mito di Medea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi

Scritto da Antonio Valentini.

Nel volume Il mito di Medea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi (Einaudi 2017), pubblicato all’interno della prestigiosa serie “Mythologica”, Maurizio Bettini e Giuseppe Pucci, entrambi antichisti di fama, propongono una brillante esplorazione del mito di Medea, tra antico e moderno. Si tratta di un importante contributo che spicca non soltanto per il rigore filologico ma anche per la particolare densità e profondità dell’analisi teorico-critica. Il volume si compone di due parti: nella prima – “Il racconto di Medea” – Maurizio Bettini rielabora il mito di Medea in una “nuova” narrazione che ne ripercorre, in chiave quasi “simbolico-immaginativa”, gli snodi essenziali, assumendo paradossalmente come terminus a quo non già l’inizio della storia di Medea, bensì la sua fine («Adesso però i viaggi erano finiti…»). Il risultato è una ulteriore modellizzazione del mito. Nel porre al centro il punto di vista della stessa Medea («Di quanto era avvenuto in quella città Medea non ricordava tutto…

 

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La ricezione di Orazio nell’età del libro antico. A proposito di Antonio IURILLI, Quinto Orazio Flacco.

Scritto da Rosa Rita Marchese.

A proposito di Antonio IURILLI, Quinto Orazio Flacco. Annali delle edizioni a stampa secoli XV-XVIII, tomi I-II, Droz, Genève 2017, 1540 pp., ISBN 978-2- 600-04730-2.

Può bastare, nella ricostruzione della fortuna di un autore, seguirne le tracce e gli echi, espliciti o impliciti, negli ingredienti costitutivi di un testo letterario? Se si intende realizzare in modo pieno la comprensione dei processi culturali che motivano la riscoperta di un autore, o la sua carsica perdita di centralità all’interno del discorso letterario, non basta: occorre uno sguardo più ampio, capace di intrecciare i fili complessi e spesso sommersi che restituiscono le scelte culturali di un’epoca, e che si sedimentano nella produzione e circolazione libraria.…

 

 

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Storie di straordinaria follia. A proposito di un libro di Guido Paduano

Scritto da Giuseppe Pucci.

«I pazzi mi attirano». Questa frase di Maupassant ben si attaglia all’ultimo libro di Guido Paduano (Follia e letteratura, storia di un’affinità elettiva. Dal teatro di Dioniso al Novecento, Roma, Carocci Editore, 2018, pp. 269).

Filologo classico, storico del teatro e del melodramma, comparatista di vaglia, attento conoscitore delle teorie psicanalitiche: chi più attrezzato di lui per affrontare un tema così complesso e dipanarlo per l’arco di venticinque secoli? È con vero piacere intellettuale che il lettore si lascia attirare sulle orme dell’autore, in un percorso che – come viene messo in chiaro da subito – non si limita a passare diacronicamente in rassegna testi letterari genericamente accomunati dalla follia di questo o quel personaggio ma si prefigge qualcosa di molto più ambizioso: dare conto «dell’emozionante corpo a corpo che la nostra civiltà ha combattuto con l’oscurità esistenziale, cercando ogni mezzo per rischiararla, esorcizzarla, accettarla».

 

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Variazione novecentesca sul mito platonico della caverna: La caverna di José Saramago

Scritto da Emira Armentano.

Partendo dall’archetipo del mito platonico della caverna, con il suo bagaglio di suggestioni filosofiche ma anche narrative e antropologiche, l’articolo proposto punta sulla funzione di “ipotesto” che il mito platonico assume nella scrittura-riscrittura letteraria che dall’antichità arriva ai giorni nostri. Vedremo, così, attraverso una comparazione tematica e linguistica (e con una nota cinematografica), come in apertura del terzo millennio Saramago si è confrontato con il mito platonico, per interpretarlo e adattarlo a una forma di scrittura che non è più meramente filosofica, ma testo narrativo (di realismo atemporale) che si interroga sul tema del rapporto finzione-realtà, sullo statuto della conoscenza e della libertà, sulla possibilità di autodeterminarsi in una società che rievoca la dimensione kafkiana. Il riferimento al mito platonico, implicito lungo tutta la narrazione, diventa esplicito nel colpo di scena finale, quando il protagonista “vedrà” realmente la caverna di Platone (visione prefigurata, a metà della narrazione, da un sogno), si immedesimerà nei cadaveri-prigionieri e attraverso una vera epifania fuggirà dalla “caverna-centro” e salverà, come avrebbe voluto fare il filosofo platonico che ridiscende nella caverna, la sua famiglia. Ma all’orizzonte si levano nubi di dubbi e perplessità: si può veramente uscire dalla caverna?

Starting from the archetype of Plato’s cave myth, with its load of philosophical, but also narrative and anthropological suggestions, the proposed work highlights the “hypo-text” function the Plato’s myth acquires throughout the ever-lasting endeavour of literary writing- rewriting that spans from the ancient times up to our days. By means of a thematic and linguistic comparison (and a cinematographic reference), we’ll see how – at the beginning of the third millennium – Saramago analyzes the Plato’s myth in order to re-forge and adapt it to a form of writing which is no longer purely philosophical, but rather becomes a narrative text (of atemporal realism). In this way, he wonders about themes like the relationship between fiction and reality, the charter of knowledge and freedom, the possibility to reach a status of self- determination in a society so much imbued with a Kafkian dimension. The reference to Plato’s myth, always present in the background throughout the narration, will explicitly come to the fore in the work’s final twist, when the main character will eventually “see” Plato’s cave (a vision already prefigured by a dream at an earlier stage of the narration), will identify himself with the corpses-prisoners, and through a real epiphany will escape from the “cave-center” and save his family – just as the platonic philosopher who gets back into the cave would have wished to do. But clouds of doubts and puzzlement loom large: is it really possible, in the end, to get out of the cave?

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