Introduzione

Scritto da Paolo De Paolis - Elisa Romano.

Dopo il successo delle precedenti tre edizioni, il IV Seminario nazionale per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini, promosso e organizzato dalla Consulta Universitaria di Studi Latini, si è svolto a Roma nella giornata del 1° dicembre 2017, presso l’Aula Multimediale del Rettorato della Sapienza – Università di Roma. Ancora una volta l’iniziativa ha suscitato un notevole interesse, dimostrato dalle numerose proposte, tutte interessanti, pervenute al Comitato scientifico del Seminario, costituito dal Consiglio direttivo e dalla Commissione Ricerca della CUSL. Sono state selezionate dodici proposte (uno degli interventi accettati non si è poi svolto): un numero ridotto rispetto alle precedenti edizioni, dovuto alla nuova formula che si è scelto di adottare. Accogliendo una proposta elaborata dal Direttivo dopo un’attenta riflessione, l’Assemblea della CUSL nella seduta del 27 maggio 2017 ha infatti deciso di eliminare la figura dell’interlocutore (nelle precedenti edizioni, uno per ciascun relatore), di portare il numero delle relazioni da 10 a 12 e di affidare ai presidenti delle singole sessioni il compito di avviare e stimolare la discussione. Nelle quattro sessioni della giornata dell’1° dicembre tale compito è stato dunque svolto rispettivamente da Paolo De Paolis, Elisa Romano, Mario De Nonno e Gabriella Moretti. La giornata è stata caratterizzata ancora una volta dalla varietà dei temi affrontati: dalla storiografia di Cesare e di Livio ad Apuleio filosofo, dalla commedia plautina al Varrone menippeo, da Lucrezio a Manilio, da Lucano ai commenti tardoantichi. Tutte le relazioni sono state di alto profilo scientifico, hanno dimostrato l’originalità e il solido fondamento delle ricerche di cui i giovani partecipanti hanno esposto i risultati parziali, e hanno suscitato l’interesse del pubblico, dando luogo a interventi puntuali e interessanti. È stato così raggiunto anche in questa occasione l’obiettivo che i Seminari per dottorandi e dottori di ricerca in studi latini si sono posti fin dalla prima edizione, quello di offrire una sede di esposizione e di confronto del loro lavoro scientifico ai giovani impegnati nelle prime ricerche nell’ambito degli studi latini. I risultati molto confortanti del IV Seminario, che hanno confermato la ricchezza e la vivacità dell’attività dei giovani studiosi, spingono a sperare, o almeno ad auspicare, che, malgrado l’attuale difficile situazione del sistema universitario nazionale e degli studi classici in particolare, tale attività di ricerca possa continuare a svolgersi in sedi adeguate e che tanto impegno ed entusiasmo possano trovare ascolto e risposte da parte della comunità scientifica e delle istituzioni.

Con la pubblicazione dei testi delle relazioni nella Biblioteca di ‘ClassicoContemporaneo’, che ha già accolto gli atti della seconda e della terza edizione dei seminari, pensiamo di dare un segnale di incoraggiamento alla ricerca dei giovani, offrendo loro uno spazio per rendere visibili i risultati dei loro studi. Per questo risultato desideriamo esprimere il nostro ringraziamento ai Direttori della rivista Giusto Picone e Valeria Viparelli per aver accettato di pubblicare anche questo volume, e a Lavinia Scolari, che con la consueta attenzione e precisione ne ha curato la redazione.

Paolo De Paolis - Elisa Romano

 

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La clemenza negli Ab urbe condita libri: tra percezione liviana e ideologia augustea

Scritto da Elisa Della Calce.

The role of clemency in Livy’s AUC is influenced by both the historical context in which they were composed, and the ideological value attributed to this concept in Livy’s day: portraits of sovereigns (cf. e.g. Liv. 1, 26, 5-8) as well as of heroic figures like Camillus and Scipio Africanus allow us to spotlight some analogies with Augustus’ policy. Particular attention is paid to the relationship between clemency and concord (Liv. 1, 11 and 3, 58): despite concerning episodes of Rome’s most ancient history, this relationship turns out to be particularly important in the aftermath of Actium, thereby revealing Livy’s attention to the political climate of his own day.

Il ruolo della clemenza nelle Storie liviane può risentire del contesto storico di composizione dell’opera, nonché del differente valore ideologico che è stato attribuito al concetto nel corso dell’età contemporanea all’autore: ritratti di sovrani (ad es. Liv. 1, 26, 5-8) o figure dalla statura eroica (ad es. Camillo e Scipione l’Africano) consentono di individuare alcune consonanze con il paradigma augusteo di governo. Nel presente contributo, un’attenzione particolare è dedicata al legame tra clemenza e concordia: pur riscontrabile in episodi inerenti alla storia più antica di Roma (Liv. 1, 11 e 3, 58), esso acquisisce nuova importanza all’indomani della vittoria definitiva di Ottaviano e consente, pertanto, di sottolineare l’attenzione dello storico per la temperie politica a lui coeva.

 

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La funzione letteraria della reticenza nell’artful narrative del De bello Gallico di Cesare

Scritto da Giacomo Amilcare Mario Ranzani.

The role of reticence within the narrative of Caesar’s De bello Gallico is examined by pointing out how the author’s silences support his needs for self-justification and self-praise. Among the rhetoric instruments Caesar employed in his artful narrative, reticence carries out a primary role, being one of the most important proofs of the author’s tendency. Caesar’s reticence consists not only in omitting facts that are pivotal for the comprehension of the events, but also in modifying them, according to the author’s needs for self-justification and self-praise. Three passages from the De bello Gallico books 1, 2 and 5 are investigated by providing intra- and inter-textual comparisons from a ‘small’ omission, in book 1, to a significant narrative absence in book 5. Then, the reason beneath Caesar’s silences is commented by focusing on the relation between the author’s reticence and the contemporary political situation.

Il contributo esamina la funzione della reticenza all’interno del De bello Gallico di Cesare e studia come i silenzi dell’autore siano al servizio delle sue necessità di auto-giustificazione e auto-esaltazione. Tra gli strumenti stilistici che Cesare adopera nel De bello Gallico, la reticenza riveste un ruolo di primo piano e costituisce uno dei più importanti elementi che rivelano la tendenza dell’autore. La reticenza di Cesare determina infatti non solo l’omissione di avvenimenti che sono centrali per la comprensione della storia da parte del lettore, ma anche la loro alterazione secondo le esigenze apologetiche e di auto-glorificazione dell’autore. Vengono dunque esaminati tre passi tratti dai libri 1, 2, e 5 del De bello Gallico, fornendo confronti intrae inter-testuali, a partire da una “ridotta” omissione nel primo libro sino ad una significativa assenza narrativa nel quinto. Successivamente, viene ricostruita la ragione alla base del silenzio dell’autore attraverso lo studio del rapporto tra la sua reticenza e la situazione politica contemporanea a Cesare.

 

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Alla ricerca del codex Vulcanii di Apuleio filosofo e dell’Asclepius*

Scritto da Matteo Stefani.

Among the manuscripts of Asclepius and Apuleius’ philosophica collated to provide a new critical edition of the hermetic dialogue, the codex descriptus Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Gronov. 108 (Gr – 12th c.) allows to clarify the relations between its antigraph Brussels, Bibliothèque Royale 10054-10056 (B – 9th c.) and Apuleius’ first editor, Giovanni Andrea Bussi; moreover, we can now identify with Gr the manuscript on which Bonaventura Vulcanius based his Apuleian editions in Leiden at the end of the 16th century.

Tra i manoscritti dell’Asclepius e di Apuleio filosofo collazionati in vista di una nuova edizione del dialogo ermetico, il codice descritto Leiden, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Gronov. 108 (Gr – XII sec.) permette ora di chiarire i rapporti tra il suo antigrafo Bruxelles, Bibliothèque Royale 10054-10056 (B – IX sec.) e l’editore principe di Apuleio, Giovanni Andrea Bussi; inoltre, con Gr e non più con B andrà d’ora in avanti identificato il manoscritto alla base delle benemerite edizioni apuleiane di Bonaventura Vulcanius uscite a Leida tra Cinque e Seicento.

 

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La vis abdita della natura: proposta di commento a Lucrezio, De rerum natura 5, 1218-1240

Scritto da Nicoletta Bruno.

This paper concerns the analysis of Lucretius, De rerum natura 5, 1218-1240. In these lines, Lucretius points out that popular beliefs are difficult to eradicate and occasional and terrifying atmospheric phenomena, such as thunder and lightning in the sky, have led to the belief that they were instruments of the divine punishment. In my proposal for comment, I tried to give emphasis to textual criticism, without ignoring the comparison with the historical context and the debate with contemporary philosophical trends, the rhetorical strategies used by Lucretius, language and style. Lines 1218-1240 exemplify the issues on which Lucretius’ reader comes across, for instance the gaps, the inconsistencies (interpolations, see Deufert 1996, 2017, 2018), the repeated verses and the frequent mechanical errors, likely a proof of an incomplete text (see Butterfield 2014, 15-42). In conclusion, I will examine the catastrophic ending, in lines 1233- 1240. It consists of a literary “topos”, which in the De rerum natura assumes the characteristics of a recurring pattern.

L’articolo riguarda l’analisi di Lucrezio, De rerum natura 5, 1218-1240. In questi versi, Lucrezio evidenzia come le credenze popolari siano difficili da sradicare e come fenomeni atmosferici occasionali e terrificanti, come il tuono o il fulmine nel cielo, fossero ritenuti strumenti del castigo divino. Nella mia proposta di commento, ho tentato di dare rilievo alla critica testuale, senza trascurare il confronto con il contesto storico di riferimento, il dibattito con le tendenze filosofiche contemporanee, le strategie retoriche usate da Lucrezio, la lingua e lo stile. I versi 1218-1240 esemplificano le questioni su cui il lettore di Lucrezio si imbatte, ad esempio le lacune, le incongruenze (interpolazioni, vd. Deufert 1996, 2017, 2018), le ripetizioni e i frequenti errori meccanici, probabilmente una prova di un testo incompleto (vd. Butterfield 2014, 15-42). In conclusione, esaminerò il finale catastrofico, ai versi 1233-1240. Esso consiste in un “topos” letterario, che nel De rerum natura assume le caratteristiche di un modello ricorrente.

 

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