Protezione dei perseguitati e dei deboli nella cultura occidentale - Introduzione

Scritto da Rossana Valenti.

Protezione dei perseguitati e dei deboli nella cultura occidentale. Interrelazioni tra pratica storica e letteratura di modelli antico-pagani e cristiani.

Le ragioni del progetto

Garantire protezione ai perseguitati e ai deboli è una delle costanti della storia della convivenza umana: la tradizione letteraria ci ha riportato spesso le ragioni della richiesta di asilo, e talvolta anche gli atteggiamenti e le motivazioni di coloro che garantiscono (o rifiutano) questa protezione, e che tramite la loro scelta manifestano una posizione di potere: concedere (o negare) asilo è sia un “fatto” storico che un motivo letterario. Non solo cercare protezione, ma anche fornire protezione rimanda a un processo che è sia politico sia carico sul piano valoriale ed emotivo: si reagisce a una situazione di emergenza individuale o sociale, a una possibile ambivalenza tra minaccia, da parte di chi cerca protezione, ed espressione di pietà per lui (o in nome di un obbligo etico nei suoi confronti), mentre, attraverso la concessione o il rifiuto, il potere politico si manifesta.

Questi processi reali si riflettono nelle narrazioni sociali o letterarie, come nell’immaginario di un’epoca e di una comunità. E queste narrazioni a loro volta influenzano le decisioni politiche.

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L’eccidio dei Ciloniani ad Atene. “Debolezze”e paradossi dell’asilo politico greco

Scritto da Eduardo Federico.

Abstract

L’articolo analizza un episodio di storia ateniese di VII secolo a.C.: i seguaci dell’aristocratico Cilone, che aspirava alla tirannide, si rifugiarono come supplici nel tempio di Atena, ma, invitati a uscire dal tempio, furono massacrati. Del massacro era ritenuta colpevole la famiglia degli Alcmeonidi, che fu condannata per sacrilegio e perseguitata per lungo tempo. L’articolo prende in esame particolarmente il racconto di Plutarco e lo considera, diversamente dalla communis opinio, una difesa degli Alcmeonidi: avevano ucciso legittimamente un gruppo che voleva imporre la tirannide, la dea Atena non aveva riconosciuto i Ciloniani come supplici regolari, loro avevano rispettato tutte le regole dell’asilo politico e non meritavano l’accusa di sacrilegio. L’articolo mette in evidenza come anche l’episodio dei Ciloniani dimostri la difficile condizione dei supplici e dei rifugiati nella Grecia antica, considerata solitamente la patria del moderno asilo politico.


The article analyzes an episode of Athenian history from the 7th century BC: the followers of the aristocrat Kylon, who aspired to tyranny, took refuge as supplicants in the temple of Athena, but, invited to leave the temple, were massacred. The Alkmaeonid family was considered guilty of the massacre and was condemned for sacrilege and persecuted for a long time. The article examines Plutarch’s story and considers it, unlike the communis opinio, a defense of the Alkmaeonids: they had legitimately killed a group that wanted to impose tyranny, the goddess Athena had not recognized the Kylonians as regular suppliants, they had respected all the rules of political asylum and did not deserve the accusation of sacrilege. The article highlights how the episode of the Kylonians also demonstrates the difficult condition of supplicants and refugees in ancient Greece, usually considered the homeland of modern political asylum.

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Riflessi letterari dell’esilio come categoria dello spirito nella produzione dei profughi greci in Occidente dopo la caduta di Costantinopoli (1453): Rallo e Marullo

Scritto da Giuseppe Germano.

Abstract

Manilio Cabacio Rallo (Mistrà 1447-Roma 1523) in seguito alla caduta di Costantinopoli del 1453 affrontò giovanissimo la sorte dell’esilio. Trasferitosi in Italia, si stabilì a Roma facendosi apprezzare nella cerchia degli intellettuali ivi attivi ed ottenendo una posizione di indiscusso prestigio ed un cospicuo benessere economico. Divenne noto tra gli umanisti come raffinato poeta con una fortunata raccolta di carmi, che egli diede alle stampe poco prima della sua morte (Manilii Cabacii Rhalli Iuveniles ingenii lusus, Napoli 1520). Tra i motivi presenti nella sua poesia (l’amore, l’amicizia, l’invettiva, etc.) quello dell’esilio ritorna insistente in una forma che assurge quasi ad un livello archetipico, come espressione di una condizione disperata di esclusione non tanto dalla patria, quanto da sé stesso, e vissuta come impossibilità di attingere la felicità. Il saggio si propone di mettere in luce questo aspetto nella cornice di un raffinato riuso delle fonti classiche e di individuare anche i termini di un dialogo letterario sul tema dell’esilio, intrecciato con Michele Marullo Tarcaniota, anch’egli esule ed attivo in Italia come assai fine poeta in lingua latina.


Manilio Cabacio Rallo (Mistrà 1447-Rome 1523) faced the fate of exile at a very young age after the fall of Constantinople in 1453. Having moved to Italy, he settled in Rome, making himself appreciated in the circle of intellectuals active there and obtaining a position of undisputed prestige and considerable economic well-being. He became known among humanists as a refined poet with a successful collection of poems, which he published shortly before his death (Manilii Cabacii Rhalli Iuveniles ingenii lusus, Naples 1520). Among the motifs present in his poetry (love, friendship, invective, etc.) that of exile returns insistently in a form that almost rises to an archetypal level, as an expression of a desperate condition of exclusion not so much from the homeland, as well as from oneself, and experienced as the impossibility of achieving happiness. The essay aims to highlight this aspect in the framework of a refined reuse of classical sources and to also identify the terms of a literary dialogue on the theme of exile, intertwined with Michele Marullo Tarcaniota, also an exile and active in Italy as a very fine poet in Latin.

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Regards sur la pauvreté dans la Gaule du Ve siècle

Scritto da Lucie Martin.

Abstract

Le fonti letterarie dell’Antichità, considerati i loro autori e i loro lettori, sono da inquadrare in un milieu abbiente. Per questo motivo, anche lungo l’epoca cristiana, quando povertà e carità si trovano al centro di molte discussioni, i poveri vengono spesso ritratti secondo modelli topici, tratti soprattutto dall’universo biblico. Le riflessioni sulla povertà restano, in un certo senso, riflessioni relative ad un’alterità non proprio conosciuta e si soffermano, in effetti, proprio sulla relazione fra coloro che hanno e coloro che non hanno: trova soprattutto spazio il prototipo del ricco patrono dei poveri (o il suo contrario, il ricco persecutore). Sulla base di queste premesse, il presente studio vuole esporre la varietà di prospettive degli autori cristiani della Gallia di quinto secolo riguardo ciò che chiamano “povertà”. In prima analisi, si passano in rassegna le opere di Salviano, in cui poveri e mendicanti vengono continuamente menzionati, ma dove queste menzioni designano in realtà quasi sempre dei mendicanti metaforici – quale il ricco nell’aldilà – oppure proprietari terrieri impoveriti. Risulta evidente che la questione sociale è evocata da Salviano a fini retorici e teologici. In un secondo tempo, analizzeremo come Valeriano di Cimiez utilizzi il personaggio topico del povero non senza effetti patetici: lo scopo è infatti quello di denunciare i comportamenti del suo ricco uditorio e incoraggiare il fedele verso una carità interessata, basata su quanto invece si può guadagnare nell’aldilà. Finalmente, grazie all’analisi di alcuni discorsi encomiastici, mostreremo come e con quali mezzi il vescovo gallico si erga a protettore dei poveri, a patronus del suo gregge.


Due to their authors and readers, literary sources of Antiquity are strongly rooted in wealthy environments. That’s why, even during Christian period, when poverty and charity are at the core of many discourses, the poor is mainly portrayed in stereotyped ways, particularly through biblical language. Reflections on poverty remain then reflections about not very well-known others and are, in fact, mainly focused on the relationship between the wealthy ones and the poor ones, or even only on the ideal figure of the rich protector of the poor (or his opposite, the rich persecutor). Based on these first observations, our study shows different outlooks given by Christian authors of Vth century Gaul on what they call “poverty”. Firstly, we analyze the works of Salvian, where poor people and beggars are continuously brought up, but where these appellations designate in fact most of the time metaphorical beggars – the rich in the hereafter – or impoverished landowners. It appears clearly that the social question is handled by Salvian for rhetorical and theological purposes. Then we study how Valerian of Cimiez uses the pathetic stereotyped figure of the poor to blame the moral behaviours of his wealthy audience and to lead Christians to a self-interested charity, based on the profit which can be made in the hereafter. Finally, through various encomiastic discourses, we show how and by which means the gallic bishop is expected to stand as a protector of the poor, as a patronus of his flock.

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