Sull’avvio del canone negli studi di storia dell’arte contemporanea nell’era della globalizzazione digitale. Spunti da uno scritto di Cesare Segre
Il saggio propone un ragionamento sull’interazione, sempre più diffusa nella pratica artistica attuale, tra l’autore e il fruitore nella realizzazione dell’opera d’arte. Interazione, coinvolgimento da parte di un pubblico più o meno consapevole, che, certamente, può ritenersi per le arti visive ormai una pratica acquisita ma che, tuttavia, può aprire, se non nuove prospettive, nuovi interrogativi. Secondo l’autrice, infatti, lo storico dell’arte, intervenendo sulla contemporaneità, non può ignorare, nell’epoca dell’intermedialità, nei tempi dell’abbattimento delle frontiere tra i vari generi artistici, nella realtà di una comunità culturale che deve confrontarsi, inevitabilmente, con il web e particolarmente con il web 2.0, espressione delle reti sociali, quella che Segre ha definito come «paternità frazionata» dell’opera d’arte. Ha senso parlare ancora, quindi, alla luce di questi cambiamenti, di fronte a questa nuova tipologia di proposte e in un’età definita ormai come interattiva, di autore e di opera? E, infine, proprio sulla scia di questi cambiamenti, le parole e le modalità d’intervento della critica militante devono darsi un nuovo statuto?
The essay offers a reasoning on interaction between the author and the audience in the artwork’s creation, more and more common in current artistic practice. Interaction by a public more or less conscious, which can be now considered an assimilated practice for the visual arts but which, however, may open, if not new perspectives, new questions. According to the author, in fact, the art historian who intervenes on contemporaneity cannot ignore what Segre has defined as artwork’s «paternità frazionata», considering that we are in the intermediality era, in the times of abolishing borders between the various artistic genres, in a cultural community that must inevitably confront, with the web, and particularly with the web 2.0 social networks’ expression. Then does it still makes sense, in light of these changes, in front of this new kind of proposals and in an age now defined as interactive, to talk about of author and artwork? And finally, just in the wake of these changes, does militant criticism’ words and action modalities must give themselves a new statute?
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