La ‘curiosità’ degli antichi e il fanatismo dei moderni. - Una nota sull’universo religioso erodoteo
In “Chi non traduce rinuncia a pensare” (Corriere della sera 11/11/2013) L. Canfora pone in rilievo l’importanza della traduzione, come metodo conoscitivo per comprendere “l’altro”. Nell’incipit del suo contributo, Canfora si sofferma in particolare su una suggestiva teoria avanzata da Erodoto nel II libro delle Storie. Lo storico di Alicarnasso, colpito dall’antichità della cultura egizia, ritiene che l’universo religioso greco sia stato fortemente influenzato dai contatti instauratisi con popolazioni ‘barbare’ e in particolare con l’Egitto. Erodoto non si limita a sostenere la discendenza dei nomi degli dèi greci da quelli egizi, ma nella sua opera utilizza più volte i nomi dei theoi ellenici per descrivere l’universo divino di popoli lontani e diversi fra loro, certo della possibilità di tradurre credenze religiose differenti. Prendendo spunto da Elogio del Politeismo (Bologna 2014) di M. Bettini, mi soffermo sull’ampiezza di orizzonti che la riflessione erodotea sul politeismo greco implica, a confronto con il fanatismo religioso che contraddistingue l’epoca moderna. I Greci, che erano un popolo molto bellicoso, non avrebbero mai pensato d’imporre militarmente il proprio dio ad altri. Le motivazioni religiose sembrano alcune fra le tante ragioni addotte, in dati periodi storici, per suscitare e giustificare il conflitto con altri, che nascondono però (anche) questioni di tutt’altra natura.
In the article “Chi non traduce rinuncia a pensare” (Corriere della sera 11/11/2013), L. Canfora stresses the importance of translation as cognitive method of understanding ‘the other’. At the beginning of his essay, Canfora focuses on a very interesting theory that Herodotus proposes in the II book of the Histories. The historian of Halicarnassus, astonished for the antiquity of the Egyptian culture, asserts that Greek religion was strongly influenced by the contacts between Greek and ‘barbarian’ populations and, in particular, by the Egyptians. Herodotus not only argues that most of the Greek gods’ names are of Egyptian origin, but he also uses the names of the Greek theoi to describe the religious world of people that were very far and different from each other. He is actually sure that it is possible to ‘translate’ the religious beliefs and rituals of ‘foreign’ people. Following the path of M. Bettini’s book Elogio del Politeismo (Bologna 2014), I try to highlight the open-mindedness of Herodotus in contrast with the fanaticism of the modern times. The Greeks, that were very bellicose, would never have thought to impose their gods to other people by force of arms. Religious motivations seem to be only some of the many reasons given in some historical periods to justify the conflict with ‘the others’, whereas these very conflicts actually conceal also causes that have nothing to do with religion.
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