Introduzione
Introduzione
La miscellanea, che trae origine da un convegno svoltosi il 19 e 20 ottobre 2016 nell’ambito del dottorato in Scienze del patrimonio letterario, artistico e ambientale dell’Università degli Studi di Milano, indaga il ruolo della classicità – in particolare greca – nel patrimonio culturale italiano ed europeo, attraverso una serie di contributi sostanzialmente omogenei per livello scientifico, ma molto diversi per i temi affrontati, i metodi e le finalità della ricerca. L’estrema varietà degli approcci e delle problematiche trattate evidenzia come il mondo classico e il suo patrimonio artistico e letterario siano stati – e continuino a essere – fonte di ispirazione e termini di confronto per gli artisti e gli intellettuali più diversi per interessi, formazione, periodo storico, provenienza geografica e culturale. Se è dunque difficile sintetizzare in una formula l’influenza della ‘classicità’, e in particolare della ‘grecità’, sulle civiltà ‘moderne’, il volume offre, attraverso una serie di interessanti case-studies, un quadro diacronico e multidisciplinare di alcune delle forme che questa influenza ha di volta in volta assunto. Alcuni contributi indagano la fortuna di un singolo autore e/o di una singola opera, ora soffermandosi su aspetti specifici del suo Fortleben, come le traduzioni in una certa area e in un certo periodo storico (Langella, che studia le traduzioni italiane dei Posthomerica di Quinto di Smirne tra Cinquecento e Ottocento), ora evidenziandone la ricezione ‘creativa’, nella forma della riscrittura, operata a fini artistici (Vannucci, che si sofferma sul Philoctète di Gide, mettendolo a diretto confronto con il suo modello, il Filottete di Sofocle) o scientifici (Rossetti, che analizza il Somnium sive astronomia lunaris di Keplero alla luce dei modelli classici, in particolar modo del De facie di Plutarco, modello dichiarato di Keplero). Altri evidenziano il ruolo modellizzante svolto dall’antico al livello più astratto dell’archetipo narrativo (Mastropaolo, che esamina la relazione tra Vittorini e l’antichità classica, evidenziando in particolar modo il ruolo degli archetipi dell’eroe tragico e delle utopie urbane) o del mito, operante anche a livello di pura suggestione (Del Zoppo, che analizza Die Ruinen von Athen di Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal, dove la grecità è mediata dalla rielaborazione di un ‘mito’ moderno, Beethoven; Camponovo, che analizza il topos femminile della femme fatale, diffuso tra gli artisti della fin de siècle, nell’opera di Arrigo Boito, evidenziando il ruolo archetipico svolto dalla figura di Elena; Crippa, che indaga le modalità della riappropriazione del genere antico della favola da parte di Sergio Antonielli nel Rito dello spettacolo; ma anche Novati, che offre un’analisi del paesaggio cretese tratteggiato dal critico d’arte Cesare Brandi in uno dei suoi molti resoconti di viaggio, Viaggio nella Grecia antica, evidenziando come la descrizione di Creta da parte del viaggiatore moderno sia influenzata dalla sua conoscenza della Grecia antica, e dalle suggestioni che essa non manca di esercitare).
Ma il rapporto tra grecità e modernità non si esaurisce nell’ambito della filiazione testuale, pur nelle diverse declinazioni che questa può assumere; il contributo di De Pasca apre alla prospettiva visuale, attraverso l’analisi dell’opera fotografica di due artisti contemporanei, il napoletano Mimmo Jodice e il ceco Josef Koudelka, esiliato in Gran Bretagna e poi cittadino francese, che hanno scelto entrambi di documentare, ciascuno nel suo modo personalissimo, le vestigia dell’antico disseminate lungo le coste del Mediterraneo, l’uno per cercare una relazione con il passato, nella consapevolezza che lì sono le sue radici, l’altro, invece, al puro scopo di osservare, con l’attenzione distaccata dell’esule, che sa di non potersi affezionare a un luogo o a un paesaggio.
L’antichità greco-romana, quindi, è anche patrimonio artistico: il contributo di Pace, l’unico di taglio propriamente archeologico, ricorda, attraverso il caso specifico di Terranova di Sicilia (poi di nuovo Gela dal 1927) tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, come la consapevolezza dell’importanza del patrimonio archeologico, e quindi della necessità della sua salvaguardia, sia un’acquisizione relativamente recente; nel nostro Paese, per molti aspetti erede diretto della classicità greco-romana, anche il recupero del passato archeologico è stato uno strumento che ha concorso alla formazione di un’identità ‘nazionale’ e di una coscienza civica.
Una miscellanea ricca, dunque, di prospettive di indagine, che proprio per questa sua varietà offre notevoli spunti di riflessione sulla fortuna dell’antico, sul valore modellizzante dei classici, sulla loro capacità di incidere ancora sul presente,
plasmando, in varia misura, le nostre identità.
Singoli contributi-sintesi
Il contributo di Elena Langella, I Posthomerica di Quinto Smirneo nelle traduzioni italiane tra Cinquecento e Ottocento, indaga un aspetto specifico della ricezione dei Posthomerica di Quinto di Smirne, concentrandosi sulle traduzioni italiane del poema tra Cinquecento e Ottocento. Ne emerge da un lato la svalutazione del poema, determinata, sostanzialmente, dal confronto, sempre penalizzante, con Omero, e dal mancato rispetto delle unità aristoteliche, dall’altro il ruolo svolto da Melchiorre Cesarotti, nel XVIII secolo, nella diffusione dell’opera in Italia. Matteo Rossetti, Keplero e la luna degli antichi. Alcune osservazioni sulla rielaborazione di Plutarco nel Somnium, analizza il Somnium sive astronomia lunaris di Keplero alla luce dei modelli classici, in particolar modo del De facie di Plutarco, modello di Keplero per dichiarazione esplicita dell’autore; ne emerge la sostanziale indipendenza con cui l’astronomo si rapportò con i modelli antichi. Gloria Vannucci, Wasteland: la Lemno sofoclea e le nevi di Gide, mette a confronto il Filottete di Sofocle con quello di Gide, soffermandosi in particolare sulla diversa rappresentazione dello spazio geografico e dell’ambiente sonoro. Alla desolata Lemno di Sofocle, isola deserta e selvaggia, ma illuminata e riarsa dal sole abbacinante della Grecia, Gide sostituisce un non-luogo gelido e innevato, sottratto alla luce e in parte assimilabile all’atmosfera quasi iperborea dell’odissiaca isola dei Cimmeri. L’autrice legge nel ghiaccio “la metafora onnipresente di come la sofferenza non venga meno, ma sia anestetizzata dalla gelida insensibilità” e interpreta suggestivamente questa scelta paesaggistica con la volontà, da parte di Gide, di sottrarre il mito di Filottete alla sua dimensione storica, per caricarlo di una valenza universale, quasi metafisica.
In ambito operistico si muove il contributo di Paola Camponovo, La «bellezza eterna» secondo Boito: da Elena ad Asteria, incentrato sull’analisi del mito dell’eterno femmineo in due libretti di Arrigo Boito, Mefistofele (1868, 1875), dove campeggia la figura di Elena, e Nerone (rappresentato postumo nel 1924), di cui invece è protagonista femminile Asteria. Elena e Asteria sono due figure per molti aspetti simili, che incarnano la femme fatale, cara alla sensibilità della fin de siècle. Ancora in ambito musicale si muove il contributo di Silvia Del Zoppo – l’unico in lingua inglese – «Das Land der Griechen mit der Seele suchend»: Prometheus, Beethoven and the role of the founding myths in Strauss and Hofmannsthal’s reworking Die Ruinen von Athen, che si concentra su un’opera poco indagata, il Festspiel Die Ruinen von Athen (1924), nato dalla collaborazione tra Richard Strauss e Hugo von Hofmannsthal, che rielabora due opere di Beethoven, Die Ruinen von Athen, scritto per l’inaugurazione del teatro tedesco a Pest, e il balletto Die Geschöpfe von Prometheus. Nell’opera di Strauss e Hofmannsthal mito greco e mito moderno (Beethoven) si fondono in un libero intreccio, al fine di fornire una nuova interpretazione del genere del Festspiel nell’ambito della definizione di una Kulturnation tedesca all’inizio del XX secolo.
Alessandro Pace, Da Terranova a Gela. La riscoperta del passato e la tutela del patrimonio archeologico nel processo di costruzione dell’identità culturale di una comunità, si sofferma sulle vicende che coinvolsero il patrimonio archeologico di Gela (allora Terranova di Sicilia) tra fine Ottocento e inizio Novecento, per mostrare come le vicende locali – in cui svolsero un ruolo centrale le figure di Paolo Orsi e di Umberto Zanotti Bianco – si intreccino con quelle nazionali, e come la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale possano contribuire alla costruzione di un’identità sociale.
Maria Rita Mastropaolo, Due archetipi narrativi greci nelle Donne di Messina di Elio Vittorini, analizza la relazione tra Vittorini e l’antichità classica, muovendosi su un doppio binario: dapprima l’autrice offre una panoramica degli articoli scritti da Vittorini sugli autori e la cultura greca nell’arco di circa un quarantennio (tra il 1925 e il 1965);
analizza poi le tre diverse edizioni del romanzo Le donne di Messina, pubblicato nel 1947-1948, 1949 e 1964; l’indagine di entrambi gli aspetti converge a dimostrare come Vittorini si sia progressivamente allontanato dagli archetipi antichi – in particolare dall’archetipo dell’eroe tragico e delle utopie urbane – a favore di un romanzo autenticamente ‘moderno’.
Alessandro Novati, Da critico d’arte a geografo: il paesaggio cretese in un resoconto odeporico di Cesare Brandi, analizza il resoconto del viaggio a Creta di Cesare Brandi, critico d’arte, teorico del restauro e studioso di estetica, nel 1954, intitolato Viaggio nella Grecia antica. L’autore mostra come la descrizione dell’isola, da parte di Brandi, sia influenzata dalle suggestioni della grecità.
Marie Louise Crippa, Il rito dello spettacolo. Una favola politica di Sergio Antonielli, analizza i debiti della favola di Sergio Antonielli, Il rito dello spettacolo, apparsa nel 1969 su “Amica”, nei confronti della tradizione favolistica, in primis della tradizione greca.
Conclude cronologicamente la miscellanea il contributo di Valentina De Pasca, L’eredità classica come elemento di riflessione e sperimentazione nella fotografia di Mimmo Jodice e Josef Koudelka, che mette a confronto, per la prima volta, l’opera fotografica di Mimmo Jodice, partenopeo, e quella di Josef Koudelka, di origine ceca, ma esiliato in Gran Bretagna e infine cittadino francese, che hanno scelto entrambi di documentare, attraverso i loro scatti, i reperti archeologici disseminati lungo il Mediterraneo. Sono evidenziate le consonanze, ma soprattutto le differenze tra i due autori, a testimonianza di come, nel frammento archeologico, possano riversarsi
personalità e tessuti biografici molto diversi.
Giuseppe Zanetto – Lucia Floridi
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