I loci della lirica oraziana nel Commentum in Statii Thebaida di Lattanzio Placido: tre casi di tradizione indiretta
Abstract
Nel Commentum in Statii Thebaida di Lattanzio Placido sono assai frequenti citazioni alla lettera dei grandi autori della classicità e, attraverso una analisi dettagliata degli scolii che le contengono, è stato possibile approfondire in che modo il nostro autore si sia servito delle sue auctoritates e le abbia riportate all’interno della sua opera, talvolta con grande precisione, altre volte modificando parole o intere espressioni. Nel presente contributo, avranno un’attenzione particolare tre loci oraziani – nel caso specifico si tratta di passi dell’Orazio lirico – inseriti all’interno di altrettanti scolii per completare la spiegazione dei relativi versi della Tebaide. L’aspetto che più sorprende e suscita curiosità è il fatto che nell’opera di Lattanzio sono presenti varianti decisamente insostenibili da un punto di vista ecdotico rispetto al testo tràdito del Venosino, ma molto interessanti per comprendere il modus operandi del commentatore nel momento in cui si serviva di citazioni di autori della classicità per finalità esegetiche. Da questa disamina emerge come egli poteva leggere un manoscritto di Orazio dove già erano penetrati quegli errori e citare i versi del poeta di Venosa così come gli erano pervenuti, oppure riferirli a memoria secondo un uso comune nelle scuole tardo antiche, e, per questo, sbagliare, o, ancora, manipolare volutamente il testo dell’antico poeta per adeguarlo al messaggio che intendeva veicolare nella spiegazione dei versi di Stazio.
In the Commentum in Statii Thebaida by Lactantius Placidus, literal quotations from the great authors of classical antiquity are particularly frequent. Through a detailed analysis of the scholia that contain these references, it has been possible to investigate how our author employed his auctoritates and incorporated them into his work, sometimes with great precision, at other times by altering individual words or entire expressions. This contribution focuses specifically on three Horatian loci – passages taken from Horace’s lyric poetry – each embedded within a scholion to clarify the corresponding verses of the Thebaid. What proves most surprising and intriguing is the presence in Lactantius’ work of textual variants that are clearly untenable from a critical standpoint when compared to the transmitted text of the poet. Nonetheless, these variants are highly revealing for understanding the commentator’s modus operandi when using classical citations for exegetical purposes. This examination illustrates how he could either read a manuscript of Horace where those errors had already penetrated and quote the verses of the poet of Venosa as they came to him, or he could refer to them from memory according to a common custom in late antique schools and, because of this, make mistakes, or, again, deliberately manipulate the ancient poet’s text to fit the message he intended to convey in his explanation of the verses of Statius.
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