Fregi classici in miniatura: il Partenone e il tempio di Bassae di John Henning

Scritto da Simone Rambaldi.

 Abstract

La Gipsoteca del Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo, di recente riallestita, possiede tra i suoi calchi due gessi di grande interesse. Si tratta delle repliche delle versioni miniaturizzate dei fregi del Partenone e del Tempio di Bassae che lo scultore scozzese John Henning realizzò a Londra, nei primi decenni dell’Ottocento. Le riproduzioni furono inizialmente incise su piccole tavole di ardesia, dalle quali potevano essere ricavati calchi in gesso, destinati alla vendita. Ne nacque presto un lucroso commercio di copie non autorizzate, dal quale purtroppo Henning non guadagnò nulla. Tali manufatti, che poche volte hanno attirato l’attenzione degli archeologi, assolvevano una duplice funzione: da un lato servivano allo studio (nelle gipsoteche universitarie), dall’altro erano utilizzati come elementi d’arredo (nelle case private). Questo secondo scopo assume uno speciale significato storico-culturale. Le repliche di Henning, il quale riprodusse il rilievo ateniese anche in pietra su due edifici londinesi, testimoniavano la rapida diffusione della conoscenza dei due fregi di età classica, solo da poco tempo noti all’Europa. I piccoli calchi, inoltre, si adattavano bene al gusto dell’epoca, perché, nonostante la sorprendente fedeltà agli originali, le loro nitide figure sembrano emanare un’aura più neoclassica che classica. Essi, perciò, appaiono allo stesso tempo due tipici prodotti “industriali” del XIX secolo.

The Plaster Cast Gallery of the Department of Cultures and Societies at the University of Palermo, renovated recently, includes two very interesting casts. They are two plaster replicas of the miniaturized reproductions of the Parthenon and Bassae friezes, made in London by the Scottish sculptor John Henning in the first decades of the 19th century. The reproductions were initially carved into small slate slabs, from which plaster casts could be obtained and sold. A lucrative trade of bootlegged copies arose, but Henning gained nothing by that business. These artefacts, which have seldom captured the attention of the archaeologists, performed a twofold function: on one hand they were useful for study (in academic plaster cast galleries), on the other hand they were used as furnishing elements (in private houses). This latter aim takes on a special historical and cultural meaning. The replicas by Henning, who reproduced the Athenian relief also in stone on two London buildings, testified the fast spread of the knowledge of the two classical friezes, newly known by Europe. The small casts, furthermore, were suitable for the contemporary taste, because, despite their astonishing fidelity to the originals, their sharp figures seem to emanate a more neoclassical than classical aura. They, therefore, appear two typical “industrial” products of the 19th century at the same time.

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Costruire un necrologio cristiano: il rovesciamento del lessico del lutto nelle antiche epigrafi e ai giorni nostri

Scritto da Alice Franceschini.

Abstract

Il presente contributo propone un’analisi di alcuni luoghi di un necrologio contemporaneo in cui emergono temi, motivi ed espressioni formali riconducibili al cristianesimo, risalendo alla loro origine e ai loro modelli attraverso un confronto con una selezione di epitafi antichi greci e latini, prevalentemente in versi. Viene evidenziato in particolare il rovesciamento del tradizionale lessico del lutto e dei valori legati al compimento delle imprese individuali, in continuità, ancora oggi, con la pratica degli autori dei primi secoli del cristianesimo.


This paper deals with a selection of Christian themes and phrases in contemporary obituaries, which are compared with Christian models and Greek and Latin funerary epigrams. Particular variations of traditional themes, such as death, sorrow, deeds and glory, can be found in Christian epigrams and modern obituaries and show a significant level of continuity between ancient and contemporary practice.

 

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The Medici Lions: Culture and Cinema from Rome to Alupka and Beyond

Scritto da Martin M. Winkler.

 Abstract

This article presents the first study of the history and reception of the Medici Lions in connection with the cinema. The two Renaissance sculptures were carved from ancient Roman marble and inspired numerous variations in size and material. Since the 1840s, a marble pair and four additional lions, matching in appearance but with varying postures, have decorated the Vorontsov Palace at Alupka on the southern coast of the Crimea. Their history can be connected with the lion sculptures by Antonio Canova for the tomb of Pope Clement XIII in St. Peter’s. Three of the Alupka lions appeared at a climactic moment in Sergei Eisenstein’s film Battleship Potemkin (1925).

Il museo ritrovato. Le peripezie dei Marmi Torlonia

Scritto da Giuseppe Pucci.

Tra gli eventi culturali più attesi di questo 2020 un posto preminente spetta alla mostra romana sui Marmi Torlonia, che espone una selezione della più grande collezione privata di sculture antiche al mondo, rimasta per quasi mezzo secolo inaccessibile a chiunque. Allestita nei Musei Capitolini, doveva inizialmente aprire in aprile, ma a causa del Covid- 19 l’inaugurazione è slittata al 12 ottobre. A tutt’oggi però sono pochi coloro che l’hanno potuta visitare, perché il riacuirsi della pandemia ha imposto, dopo poche settimane, la chiusura generalizzata di musei e mostre.

La biblioteca dell’esilio

Scritto da Rossana Valenti.

 

Nel 2019 è stata messa in mostra, alla Biennale di Venezia, una installazione dedicata ai “libri dell’esilio”: si era aperta nell’aprile di quell’anno nel Museo Ebraico sito in Campo del Ghetto Nuovo. Purtroppo, ho potuto dare solo un rapido sguardo all’allestimento, ma mi è stato possibile recentemente acquistare un piccolo testo esplicativo, redatto dallo stesso artista britannico che l’ha curata: Edmund de Waal (library of exile, British Museum Press, London 2020). Quella che segue, quindi, non è una vera e propria recensione della mostra, almeno non nei termini consueti: è un’informazione sugli intenti che le sono sottesi, e un invito a seguirne le vicende, nella speranza di poter presto fare ritorno nei musei e nelle biblioteche, per condividere le storie che vi sono racchiuse.

La Biblioteca dell’esilio è una collezione di duemila libri scritti da autori costretti a fuggire, o mandati in esilio, o ridotti al silenzio all’interno dei loro stessi paesi: vi sono incluse opere redatte in un arco temporale che si snoda da Ovidio ai nostri giorni, in una grande varietà di nazionalità e linguaggi. I libri collocati negli scaffali descrivono un mondo in diaspora, dalle molteplici dimensioni geografiche, che individuano luoghi di origine e mete finali, migrazioni e attraversamenti, appartenenze e allontanamenti forzati.

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