L’isola di Crono e l’isola di Cthulhu: un capitolo poco noto della fortuna di Plutarco
Abstract
Il suggestivo mito del sonno di Crono in un’isola al largo della Britannia, ricordato da Plutarco in De defectu oraculorum 18.420A e De facie in orbe lunae (940F-942C), godette di particolare fortuna soprattutto in ambito anglosassone. Cenni in poeti (come Drayton e Milton), storici, saggisti, divulgatori, e persino una sovrainterpretazione teosofica che legava il passo al mito di Atlantide contribuirono a rendere la storia molto popolare, in particolare tra Otto e Novecento. A partire da questi molteplici canali il mito plutarcheo arrivò anche al noto scrittore dell’orrore H.P. Lovecraft. Come mostrano riferimenti, finora negletti, presenti nel suo epistolario, e una serie di precisi punti di contatto, il nucleo del suo racconto più influente, The call of Cthulhu (1926), è debitore proprio della storia relativa a Crono: in entrambi i casi un’antichissima divinità spodestata dorme in un’isola remota, sperduta nell’oceano occidentale, comunica per mezzo dei sogni, e attende l’arrivo dei propri adepti quando si compia un determinato ciclo astronomico. La capacità di suggestione del mito plutarcheo è dimostrata anche dalla sua ricezione da parte di un altro autore di weird tales (nonché amico di Lovecraft), il californiano Clark Ashton Smith, che gli dedicò una poesia, The isle of Saturn (1950).