Venezia, Marsilio, 2011
«Chissà se la rupe c’era, e chissà che aspetto aveva, nel teatro che ospitò – non sappiamo dove né quando – la prima rappresentazione del Prometeo incatenato.» (p.7): un bell’inizio, ad effetto, per il dotto e corposo saggio introduttivo di Condello, curatore oltre che traduttore del dramma eschileo, nel recente volume che arricchisce la collana Variazioni sul Mito. E sin dalle prime pagine l’introduzione affronta vari aspetti della scenografia e della messinscena, antica e moderna, in modo personale, mai prevedibile e a tratti sorprendente, con una rara sensibilità teatrale oltre che con grande attenzione alla valenza simbolica degli oggetti scenici. Solo in un secondo tempo tratta il problema della discussa paternità del dramma attribuito a Eschilo, e ne sintetizza i termini e gli argomenti con equilibrio e chiarezza; e se dall’analisi appare evidente che il dibattito sulla reale identità dell’autore tragico non inficia l’interesse per il personaggio e non ne preclude affatto la fortuna scenica, anzi, è quest’ultimo aspetto a meritare la trattazione più dettagliata e complessa, ricca di spunti originali, brillante e ironica nella scrittura.
L’introduzione passa in rassegna le principali attestazioni (nell’antica Grecia, in Mesopotamia e nell’era moderna) di un mito che – va sottolineato – gode di grande popolarità anche nel periodo di oblio che affligge la versione eschilea: «È anzi uno dei tratti distintivi di tale “mito”, fra i tanti altri del repertorio classico, quello di sopravvivere così a lungo proprio in quanto “mito”, senza il sostegno saldo di una precisa riscrittura antica.» (p.31). Così Prometeo fa storia a sé tra i ‘classici della modernità’, e il dramma eschileo riscoperto diventa una fonte tra le tante versioni, parallele e sincroniche, che si intrecciano fino ai giorni nostri. E se l’onda lunga del mito arriva a lambire anche Giorni Felici di Beckett – come ricorda giustamente Condello – possiamo aggiungere, a titolo personale, un corto circuito teatrale di epoca recente: nell’allestimento siracusano del Prometeo datato 1994 (attribuito a un anonimo ‘Maestro del Prometeo’ dal traduttore Marzullo e ambientato dal regista Calenda negli anni Trenta del Novecento), il protagonista Roberto Herlitzka è vestito di nero e con la bombetta, sprofondato nella buca dell’orchestra come i personaggi beckettiani (http://www.indafondazione.org/la-stagione/2012-2/prometeo/indaretro/).
Di questo tormentato percorso storico sono tappe essenziali le opere selezionate per la presente edizione e ben illustrate nell’introduzione, che chiude in bellezza citando il prezioso Prometeo di Franz Kafka (1918) e concludendo “Il seguito si vedrà”: degna premessa alla traduzione di Eschilo dello stesso Condello, eccellente e particolarmente encomiabile per la resa efficace dei non pochi nodi testuali senza l’ausilio di note. Di seguito l’Inno a Prometeo di Goethe (nell’intensa versione di Maria Grazia Ciani), la selezione del Prometeo Liberato di Shelley e i testi di Gide e Pavese, che nel complesso forniscono al lettore un campione valido e variegato delle metamorfosi del mito prometeico, di solido impianto e di piacevole lettura. Completano il volume le schede biografiche degli autori e un’utile bibliografia ragionata, sintetica ma ben ponderata, a conferma del lungo e paziente lavoro di ricerca che sorregge questa pregevole pubblicazione.