Seguire lo sviluppo di un’idea, di una moda o di un genere letterario è sempre un’impresa suggestiva: da una prima intuizione si sviluppano linee di pensiero e procedure narrative che crescono e si ramificano. A volte le cose procedono in parallelo, magari in diverse tradizioni culturali e su diversi registri espressivi, a volte si susseguono nello stesso ambiente; e i diversi rami di un pensiero e di una pratica possono divergere per poi tornare a incontrarsi. Sembra questa, contorta e affascinante, la linea che ha portato all’incontro tra mondo classico e fantascienza: un connubio a prima vista insolito, che però si afferma fin dall’apparizione del libro con il quale, nel 1818, ha inizio, secondo gli studiosi, il genere narrativo oggi identificato come “fantascienza”: Frankenstein or the modern Prometheus di Mary Shelley, che già nel sottotitolo inseriva con decisione il suo personaggio nell’ambito della tradizione classica, pur qualificando con l’aggettivo ‘moderno’ la figura letteraria che poi si insedierà nell’immaginario collettivo identificando sia lo scienziato che la sua mostruosa creatura.
Fin dai suoi inizi, dunque, la fantascienza (o Science Fiction, nella terminologia inglese, con una significativa inversione dei due vocaboli) descrive il futuro valendosi di figure, concetti e miti che pertengono al passato e al mondo greco-romano, e rinegoziando valori e pratiche consolidati da un’antica tradizione.