Al di là del comune sentimento del pudore. Il lessico dell’osceno tra aischrón e obscenum
Abstract
On the basis of a historically fluid definition, this paper focuses on terms, forms, rituals and poetics of the obscene, an incoercible dimension of the human, which entails a continuous, non-conformist solicitation of the ‘common sense of decency’. In this way, historical connections and entanglements emerge between the obscene ritual, its dramatisation on the stage of Old Comedy, and the desecrating and cathartic function of laughter. In short, dealing with the obscene to represent its complex functions – anthropological, aesthetic, social, and above all political – that have traditionally found expression in the biting and denigrating tones of invective and obscene language, of public ridicule of the powerful and the supreme authority. From the archaic iambic poets and Aristophanes, via Dante, de Sade, Belli, Bataille, Bianciardi and many others, to the new frontiers of the obscene: the word has now been replaced by the image, the verbal by the digital, the obscene by the pornographically voyeuristic, the ancient rhapsody by the contemporary rap, in a tourbillon of true and false poets competing in overcoming the limit of what, on stage and above all off it, is sayable and representable.
Sulla base di una definizione storicamente fluida, propongo un esame di termini, forme, rituali e poetiche dell’osceno, una dimensione incoercibile dell’umano, che comporta una continua, anticonformistica sollecitazione del “comune senso del pudore”. Facendo emergere connessioni e intrecci storici tra l’osceno rituale, la sua drammatizzazione sulla scena della Commedia Antica, e la funzione dissacrante e catartica del riso. Trattare l’osceno per rappresentarne le complesse funzioni – antropologica, estetica, sociale, e soprattutto politica – che hanno trovato espressione tradizionalmente nei toni graffianti e denigratori dell’invettiva e del turpiloquio, del pubblico ludibrio dei potenti e della somma autorità. Dal giambo arcaico ed Aristofane, passando per Dante, de Sade, Belli, Bataille, Bianciardi e tanti altri, sino alle nuove frontiere dell’osceno: alla parola si è ormai sostituita l’immagine, al verbale il digitale, all’osceno il pornograficamente voyeuristico, alla rapsodia antica il rap contemporaneo, in un tourbillon di veri e falsi poeti che gareggiano nel superamento del limite di ciò che, sulla scena e soprattutto fuori di essa, è dicibile e rappresentabile.
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